The case
Una minorenne si ritrae in pose sexy e invia gli scatti a undici amici. Alcuni di questi fanno circolare le foto. Con sentenza del 10.XI.2014, il Tribunale per i Minorenni dell’Abruzzo dichiara non doversi procedere nei confronti degli undici imputati per i reati di cessione e detenzione di materiale pedopornografico (art. 603-ter e quater c.p.) perché il fatto non sussiste: la circostanza che la ragazza si sia ritratta di propria iniziativa e senza l’intervento di alcuno, secondo il Tribunale, non consente di ravvisare la fattispecie di reato.
La questione, su iniziativa del Procuratore della Repubblica, arriva sino in Cassazione. Ma la Corte rigetta il ricorso: per la Cassazione la legge non sanzionerebbe una qualsiasi cessione di materiale pedopornografico, ma solo quello realizzato da un soggetto diverso dal minore ritratto e tale diversità non ricorre quando il materiale sia stato realizzato dallo stesso minore in maniera autonoma. Dice, infatti, la Cassazione: “Non si configura il delitto di cessione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter c.p. nell’ipotesi in cui un soggetto trasmette ad altri immagini riprese in autoscatto direttamente dal minore, cedute dallo stesso volontariamente. Il reato in parola, infatti, ha ad oggetto non un qualsivoglia materiale pornografico minorile, ma esclusivamente quel materiale formato attraverso l’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi. L’impiego strumentale del minore da parte di un terzo costituisce un elemento costitutivo del reato stesso”. (Cassazione penale, Sezione III, sentenza 21/03/2016 n° 11675)
According to the lawyer sexologist
La questione del sexting è sicuramente una delle più dibattute in tema di sessualità 2.0. Qualsiasi connotazione positiva voglia darsi al fenomeno (e certo non si nega aprioristicamente che ce ne possano essere), non può non considerarsi l’estrema facilità con cui certe “intimità” possano sfuggire di mano e divenire di pubblico dominio con le nefaste conseguenze che ben conosciamo. E se difficile appare gestire il fenomeno quando riguarda gli adulti, ancora più complesso e rischioso lo diventa quando riguarda gli adolescenti. Che l’esercizio del diritto alla sessualità sia un diritto riconosciuto dai quattordici anni, oramai non v’è dubbio. Che proprio perché al quattordicenne la legge riconosce la capacità di compiere atti sessuali, significa che allo stesso viene riconosciuta la capacità di capire il senso degli atti che compie e di assumersene responsabilmente le conseguenze. Ma, nei fatti, tutto questo è veritiero? O assistiamo quasi a comportamenti automatici senza che ne vengano compresi i meccanismi? L’età per gli atti sessuali è stata dettata sul presupposto della conoscenza e della responsabilità: ma, di grazia, c’è poi qualcuno che si prende il fastidio di far capire, conoscere, spiegare ai ragazzini la sessualità e il valore degli atti che compiono? O, forse, non è più vero che viene tutto lasciato al caos sovrano di media e social, già fuorvianti per gli adulti?
Ed ecco così che una minorenne (ma in realtà sono davvero tante), e non sappiamo se si renda effettivamente conto di quello che fa o perché lo faccia, distribuisce gratis selfie osé. Qualcuno dei destinatari generosamente offre gli scatti ad altri amici. E i giudici, Cassazione compresa, danno anche una pacca sulla spalla.
Qualcosa non va.
Sicuramente le norme non sono del tutto adeguate alla velocità dei tempi, sicuramente ogni caso va esaminato a sé e certo non si vogliono in questa sede esaminare complesse questioni giuridiche. Ma altro è compiere atti sessuali, altro è la pedopornografia. Sia che le foto le scatti il minore sia che vi provvedano altri. E far circolare immagini di minori, per quanto dagli stessi realizzati, è pedopornografia. Senza se e senza ma.
Tutelare il minore è proteggerlo sempre, non solo in relazione all’autore del materiale pedopornografico. Anche da se stesso, ove occorra. L'”utilizzo” vietato del minore, cui la legge tende, non può esser dato solo dall’alterità e diversità del fruitore rispetto all’autore delle riprese. I paradossi? Un minore si riprende in un video e lo cede a conoscenti che lo fanno girare. La situazione sfugge di mano, le immagini circolano e il minore compie atti autolesivi (di quelli tragici di cui troppo spesso sentiamo parlare). Non c’è reato. Ma neanche un minimo di tutela.
E allora: se contrastare la strumentalizzazione della sessualità dei minori è obiettivo della legislazione nazionale e internazionale (in alcuni Stati anche i minori che fanno sexting con i selfie vengono condannati e inseriti negli elenchi dei sex offenders) possiamo ritenere che in questo modo i minori italiani siano sufficientemente tutelati?
E, al di là delle questioni interpretative tecnico-giuridiche, non sarebbe il caso di attivarsi per norme più efficaci?